Thursday, June 6, 2013

ORRORI DELLA LEGGE | Erri de Luca risponde a Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi

stefano_cucchi[1]

Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro.

Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.

Stefano Cucchi, dopo la tortura in carcere-small

Wednesday, June 5, 2013

Quale pensiero filosofico per il futuro dell’Africa? - di Habtè Weldemariam

Alcuni anni fa, in occasione di un incontro che si svolgeva a Frascati, promosso dall’associazione “Nessun luogo è lontano” ho avuto la fortuna di incontrare e discorrere a lungo con il compianto  professor Joseph Ki-Zerbo.
Ero reduce dalla presentazione del discusso documento NEPAD (Nuovo partenariato per l’Africa) presso il Ministero degli affari Esteri di Roma e chiesi a  Ki-Zerbo cosa ne pensasse…

Il professore elogiò la buona intenzione dei redattori del documento ma secondo lui non era stata tenuta nel debito conto la vera essenza del continente africano. «Vede», disse Ki-Zerbo, «lo sviluppo economico e sociale è sempre legato ad una cultura. Ho l’impressione che il documento risponda ad un pensiero di progresso economico di tipo Occidentale… Non si possono sprecare così tante energie per proporre un modello tipo Nepad senza prendere in considerazione la struttura sociale di un popolo nel suo insieme».
Credo di aver compreso le perplessità di Joseph Ki-Zerbo nell’ottobre scorso,  dopo aver seguito il convegno promosso dalla Pontificia Università Urbaniana e dall’Università “Roma Tre” intitolato La philosophie africane: l’antropologie. Un convegno peraltro ricco di spunti, idee e vivacità di pensiero, come spesso capita con gli intellettuali francofoni e lusofoni.
La filosofia non è il mio campo di specializzazione ma, occupandomi di studi e ricerche di antropologia culturale e di narrativa africana, mi sono sempre imbattuto in questioni legate alla cosmologia, alla mitologia, alla saggezza della vita o all’immortalità nelle religioni tradizionali africane; così, tornando a casa dopo il bel convegno dedicato alla filosofia africana non ho potuto fare a meno di porre a me stesso una serie di quesiti: esiste una filosofia africana? Il fatto che la tradizione orale abbia carattere testuale e storico è sufficiente perché si possa parlare di una filosofia? Qual è il ruolo del “pensiero universale” della tradizione africana?  E lo sviluppo del pensiero filosofico africano oggi?

Ridefinire la storia del pensiero africano per reclamarne un riconoscimento

Una giornata di relazioni e di dibattiti per un argomento così vasto certamente non basta per giungere a delle conclusioni, ma il convegno ha comunque rivelato che siamo in una fase di confronto. Non è chiaro se vi è una specifica “filosofia africana” o se nella visione del mondo dell’uomo africano esistono principi costanti e ricorrenti, comuni ed irriducibili, che fanno sì che egli sia guidato nella sua soggettività. Insomma, possiamo parlare di un’alba della “filosofia africana”?
L’immagine “storta” dell’Africa e la sua marginalizzazione nella storia ha le sue radici nella concezione etnocentrica ed evoluzionistica europea; basti pensare alle testimonianze di Erodoto, Plinio il Vecchio, Diodoro Siculo, alla teoria del Buon Selvaggio di Jean Jacques Rousseau e alla concezione hegeliana della storia. Secondo tale concezione l’Africa era una terra abitata da popolazioni primitive, astoriche e prive di razionalità; un pregiudizio che ha fortemente viziato l’immagine del Continente fino ad “inventare” un’altra Africa, che doveva essere salvata dalla sua condizione di barbarie dal progetto coloniale.
Ecco perché, mentre la “castrazione coloniale” non è ancora finita, diversi pensatori africani vedono nella riflessione filosofica una via verso la rinascita africana e per ricrearne l’identità, liberandola il più possibile dagli orpelli di un pensiero altro, che l’ha violentata e resa schiava.
Inizialmente tale pensiero è nato come forma di reazione e resistenza rivolto nel contempo all’Africa e all’Occidente; un tentativo di proporre a sé e agli altri un’immagine positiva in cui potersi riconoscere ed essere riconosciuti. Oggi vuole impegnarsi anche in un confronto in campo internazionale per ridefinire la storia, la cultura, l’esistenza degli africani e reclamare il riconoscimento della propria umanità. Così è iniziata la riscoperta del pensiero filosofico nel Continente, a cominciare almeno dall’Egitto antico di cinquemila anni fa per poi arrivare, via via, fino allo sviluppo filosofico dell’Africa settentrionale con Sant’Agostino, e ai filosofi razionalisti etiopici del ‘500-600, come Weldehiwet e Zera-yaqob.
Su Zera-yaqob è necessario spendere qualche riga, in quanto i suoi scritti stanno suscitando un grande interesse a livello mondiale, ma soprattutto tra gli intellettuali africani. Tra il 1500 e il 1600 in Etiopia vi fu una grande fioritura di pensatori, ma anche incredibili persecuzioni con roghi di pergamene con i quali la Chiesa copta attuò una forte censura contro varie correnti di pensiero filosofico. Tutto ciò che non risultava essere coerente con la teologia e il mito della monarchia salomonide etiopica doveva essere eliminato, con un atteggiamento che oggi potremmo definire anticulturale. In questo contesto la figura di Zera-yaqob è emblematica, essendo uno dei grandi pensatori perseguitati, che viveva esiliato nelle caverne dell’Ambe nell’acrocoro abissino. Dopo 500 anni, finalmente, sono stati scoperti i suoi manoscritti; un tesoro di testi, soprattutto di filosofia, enorme, che richiederà parecchi anni per la sola traduzione, in quanto si tratta dei discorsi scritti in lingua ge’ez , spesso in forma di Qene, con doppiezze semantiche e metafore con cui opporsi ai Neghestat e ai teologi copti, i quali facevano ampio uso di parole e concetti “a doppio taglio”.

La filosofia del riscatto

L’ambito in cui la filosofia africana ha tentato - e tenta - di svilupparsi come scienza moderna è quella incerta zona di confine che separa e congiunge spazi socioculturali, politici, mentali, disciplinari come il dominio coloniale e lotte di liberazione, diaspora, saperi locali e linguaggi disciplinari occidentali. Si tratta di uno spazio ambiguo, lacerato e mal definito che ha reso urgente la domanda sulla identità, personale e collettiva, e che appunto cerca nella filosofia una possibile chiave di risposta, oscillando tra la rivendicazione di una propria irriducibile diversità e l’affermazione della rilevanza universale del proprio pensiero e della propria cultura.
La filosofia africana in senso stretto, intesa cioè come produzione di testi filosofici che si inserisce in un ambito disciplinare istituzionalmente definito, nasce come risposta ai discorsi discriminatori che l’Occidente ha sviluppato sull’Africa, negando agli africani una pari dignità culturale e capacità di pensiero razionale. A partire dagli anni ’20 del XX secolo gli intellettuali africani, spinti da un forte desiderio di libertà, hanno dato nuovi impulsi a dibattiti politici, culturali, sociali e filosofici riguardanti la loro situazione storica, sviluppando in seno alla “filosofia africana”, diverse correnti di pensiero: il Panafricanismo (W. E. B. Dubois), il Conscientismo (Kwame Nkrumah), la Corrente Nazional-Ideologica in cui troviamo la Negritude (Sedar Senghor, Aimè Cesaire); il Socialismo africano (Jomo Kenyatta, Julius Nyerere); la Sage Philosophy, secondo la quale la filosofia in Africa è molto antica e nasce dagli insegnamenti dei saggi, degli anziani; la Filosofia Professionale, che spinge il dibattito in campo internazionale presso alcune università occidentali dove lavorano molti filosofi del Continente nero, detti per questo intellettuali della diaspora; la Corrente Etnofilosofica; la Corrente Critica che nasce in opposizione a quella Etnofilosofica e che attribuisce alla filosofia un ruolo di primo piano nella ricerca dell’identità africana; e infine, la Corrente Ermeneutica. L’approccio di quest’ultima, nel tentativo di oltrepassarne la contrapposizione, tra i due estremi dell’atavismo essenzialista - la etnofilosofia e la critica - e dell’universalismo occidentalizzante, tenta di rielaborare l’esperienza africana alla luce del passato, del presente e del futuro.

Il futuro della filosofia in Africa

Ora le tante considerazioni errate sul “pensiero filosofico africano” sono in via di smascheramento costringendo, soprattutto il mondo occidentale, a rivedere i suoi giudizi e pregiudizi. Molti intellettuali africani, senza fermarsi a banali battibecchi, continuano a percorrere strade nuove per ritrovare la loro identità sostenendo l’idea che la filosofia è un processo essenzialmente aperto, una ricerca inquieta e incompiuta. In questo processo di mutazione decisivo del pensiero filosofico africano c’è un grosso dilemma da superare: la coesistenza tra le norme che regolano il pensiero accademico e il dialogo pacifico del modo tipicamente africano di pensare. Anche perché, parafrasando il pensiero del professor Ki-Zerbo riguardo il documento Nepad, anche una filosofia è sempre legata ad una determinata cultura e si è sviluppata seguendo la cultura che l’ha generata nella sua evoluzione. Dobbiamo inoltre ricordare che «l'Africa di ieri è ancora un dato contemporaneo!».
Mi rendo conto che, in un mondo globalizzato, esprimere l’ “Africa di ieri” come potenza visionaria su se stessa e sul proprio destino è alquanto difficile. Eppure, non solo nel campo del pensiero ma anche all'interno di un linguaggio, la tradizione orale africana conserva tuttora un'importanza sacrale. Ancora sopravvivono le corti dei capi africani tradizionali, dove si ripetono gli stessi riti di cento o di cinquecento anni or sono; la tradizione, la mitologia, le cosmologie vengono ancora assunte come filosofie comunitarie, indipendenti, complementari o alternative rispetto alla filosofia occidentale. La sapienza accumulata nella tradizione orale costituita da miti, proverbi e racconti, riti, nomi, proibizioni e da tutte le manifestazioni della parola e del pensiero sono ciò che si può chiamare pensiero filosofico della tradizione orale africana. Il termine “filosofia” diventa dunque un sinonimo di concezione collettiva del mondo e della vita, una sorta di antropologia spontanea sedimentata nelle categorie della lingua, nelle rappresentazioni sociali e nei costumi. Qui non emerge il nome di qualche particolare personalità, ma il soggetto è la tradizione, la comunità, il popolo.
Tale “spirito” o “stile”, per convenzione tale “filosofia”, mentre in Occidente avrebbe il proprio carattere distintivo in un atteggiamento analitico che conduce alla dominazione della natura e all’atomismo sociale, in Africa troverebbe la propria peculiarità in una visione sintetica del mondo e del sapere che favorirebbe la coesistenza con la natura e la convivenza comunitaria fra gli uomini.
E' giunto il momento di elaborare, comunque, un pensiero africano, teorizzando i valori e la saggezza in esso presenti, dando così un contributo efficace per diffondere nel mondo la ricchezza della spiritualità africana. Si tratta di un richiamo, di una sollecitudine provenienti da ogni angolo della terra dove l’africano è presente  che intende indurre gli intellettuali africani a riflettere sulla propria identità, sul proprio passato e sul presente, a  porre le basi per una salda conoscenza della propria cultura e questo può rivelarsi molto fruttuoso anche nelle scuole africane di filosofia.
Roma, novembre 2006

Monday, June 3, 2013

RAZZISMO ITALICO 2013 | Parlamento europeo, il gruppo degli euroscettici di Nigel Farage espelle Borghezio

Lega-Nord-Mario-Borghezio-condivide-opinione-Breivik[1]

Milano - Il gruppo parlamentare degli euroscettici Efd ha ufficializzato l'espulsione «da oggi» di Mario Borghezio. Fonti del gruppo hanno reso noto che «una maggioranza superiore ai due terzi» si è espresso favorevolmente alla proposta fatta venerdì scorso dal co-presidente Nigel Farage. A quanto si apprende, la decisione è già stata comunicata al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, con una lettera di Farage in cui si informa che «da oggi» il leghista non fa più parte del gruppo Efd. Nella lettera non vengono indicati motivi specifici.

L'eurodeputato leghista Fiorello Provera, vicepresidente della Commissione Affari Esteri, ha intanto «preso le distanze» proprio da Borghezio per le dichiarazioni a sfondo razzista fatte in una intervista pubblicata sul numero in edicola di Panorama. «Non mi risulta che queste posizioni coincidano con quelle della Lega Nord - ha scritto Provera in una nota - Sicuramente non coincidono con le mie. Credo che queste generalizzazioni o categorie etniche diluiscano il principio di responsabilità del singolo individuo. Principio in cui credo fermamente».

Sul caso Borghezio si è espresso anche Matteo Salvini, eurodeputato leghista e segretario della Lega lombarda, intervistato a La Zanzara su Radio 24. «Non cacceremo Borghezio dalla Lega, non c'è questa possibilità. Lui resta nella Lega, almeno dal mio punto di vista». Certe cose - dice Salvini - potrebbe risparmiarsele, «gli inglesi si sono rotti le balle. Io personalmente l'ho difeso fino alla morte, ma ha detto alcune cose fuori luogo. Si può fare battaglia sull'immigrazione senza parlare di Ku Klux Klan o di meticciato».

Su Panorama Borghezio ha attaccato tra l'altro il ministro dell'immigrazione. «Cécile Kyenge - ha detto - si è comportata in maniera incivile non stringendo la mano al capogruppo della Lega alla Regione Lombardia. Se l'avesse fatto un altro avrebbero detto che è uno stronzo. Invece non è successo nulla». Rispondendo alle domande di Giuseppe Cruciani, Borghezio ha poi aggiunto: «I meticci sono un obbrobrio perché inquinano la differenza tra le etnie, gli antirazzisti italiani sono ignoranti e raccontano idiozie». Citato, infine, Joseph Arthur de Goubineau, diplomatico francese che a metà Ottocento pubblicò un saggio sull'ineguglianza delle razze umane.

Via|Agenzie

Sunday, June 2, 2013

DOLORE & TRISTEZZA | Addio a Little Tony, la musica italiana perde un altro pezzo importante

È morto Little Tony. Il cantante - vero nome Antonio Ciacci - che aveva 72 anni ed era originario di Tivoli (Roma) - era malato di tumore. Il decesso a causa di un tumore alle ossa è avvenuto a Villa Margherita il 27 maggio , dove era ricoverato da tre mesi.
Il funerale si è svolto al Divino Amore, chiesa a cui Little Tony era devoto, tra una sfilata di Ferrari, di cui lo stesso cantante era presidente onorario del club Ferrari e le migliaia di persone tra cui vip e fan che sono accorse a dargli l'umtimo saluto.
Commossa dalla funzione religiosa sua figlia Cristiana non ha retto l'emozione ed ha avuto un mancamento, ma non si è voluta far portare in ospedale ed è rimasta fino alla fine della cerimonia. Presente tra i parroci anche Don Benedetto del villaggio Don Bosco di Tivoli a cui Tony era particolarmente legato. Molti i messaggi di cordoglio per la famiglia, tra i personaggi arrivati a dare l'ultimo saluto Al Bano, Pippo Baudo, Mara Venier che ha condotto subito dopo uno special alla vita in diretta ricordando la straordinaria carriera e vita dell'artista, I cugini di Campagna, Bobby Solo, Rita Pavone, Dario Salvatori, Gianni Morandi e motli vestiti ad Elvis hanno incitato le Ferrari a rombare fuori la chiesa per salutarlo. Enrico Ciacci, fratello di Tony ha pianto per tutta la funzione religiosa e salutato centinaia di persone. All'ultimo momento è arrivato anche il Sindaco Gianni Alemanno a portari i saluti del Comune di Roma. La bara ha salutato il Divino Amore sulle note di Cuore Matto per poi dirigersi al cimitero di Tivoli dove Little Tony è stato sepolto.
Noi della redazione ed in particolare io, che ho avuto la fortuna di conoscerlo gli dedichiamo quest'ultimo saluto.
"La fortuna appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. E tu hai realizzato il sogno della tua vita. Ma questa non è la fine ma l'inizio di un altro sogno: quello eterno. R.I.P. T.V.B. Rimarrai sempre nei nostri ricordi. (EMANUELA DEL ZOMPO)

ANGELINA JOLIE | Senza seno, dopo la mastectomia, ecco il quadro provocazione

Angelina Jolie senza seno: il quadro provocazione

Il gesto dell'attrice Angelina Jolie, che ha deciso di farsi asportare entrambi i seni per prevenire il cancro, ha ispirato l'artista svedese Johan Andersson che ha deciso di dedicarle un dipinto che la ritrae nuda, senza seno. Celebre per aver dipinto il volto di Amy Winehouse dopo la sua scomparsa, Andersson è il più giovane artista esposto alla National Portrait Gallery di Londra. "Quando avevo 15 anni mia madre ha avuto una grave forma di cancro al seno", ha spiegato Andersson al New York Daily News, chiarendo tuttavia che "è stata abbastanza fortunata da non dover sottoporsi a mastectomia. "La recente notizia su Angelina ha generato in me un'ansia che mi ha spinto a dipingere questo ritratto", ha aggiunto. Il ricavato della vendita dell'opera, valutata circa 22.000 dollari, andrà a un'organizzazione benefica, la Falling Whistles, impegnata nel portare la pace in Congo

Gran Bretagna, le banche continuano a tagliare posti di lavoro

Per le più grandi banche inglesi le difficoltà della crisi sembrano tutt’altro che archiviate. Almeno a giudicare dai continui tagli al personale...
Per le più grandi banche inglesi le difficoltà della crisi sembrano tutt’altro che archiviate. Almeno a giudicare dai continui tagli al personale.
A dirlo è l’agenzia Bloomberg, che ha condotto un’analisi su Royal Bank of Scotland, HSBC, Lloyds e Barclays. Alla fine del 2013 – rivela l’agenzia di stampa americana – tali istituti impiegheranno complessivamente 606 mila persone in tutto il mondo. Si tratta di una sforbiciata pari al 24% (vale a dire a 189 mila persone) rispetto al picco raggiunto nel 2008, quando i dipendenti erano 795 mila. Un numero di occupati così basso non si toccava dal 2004, quando ammontava a 594 mila persone.
Dal 2008 al 2012, d’altronde, anche gli introiti delle banche sono scesi del 13%, arrivando lo scorso anno a 108 miliardi di sterline (164 miliardi di dollari). A pesare è soprattutto la crisi europea, che erode i profitti del ramo d’affari. E gli investitori fanno pressione affinché, per compensare il calo delle entrate, si taglino i costi fissi. Il che si traduce, nella maggior parte dei casi, in pesanti emorragie occupazionali.
Valentina Neri

Friday, May 31, 2013

ITALIA | Politici incapaci di mediare interessi personali e generali, dice Bankitalia

In una situazione economica strutturalmente in ritardo serve un aggiustamento di portata storica, ma i politici italiani stentano a concentrarsi sull'interesse generale.

L'accusa è del governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

Dopo anni in cui l'economia italiana è stata la peggiore di quasi tutti i paesi sviluppati "l'aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica .. è un aggiustamento che necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e delle forze produttive" scrive il governatore nelle Considerazioni finali di quest'anno.

La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo e "rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale".

L'inversione del ciclo economico verso la fine dell'anno è possibile ma condizionata a una serie di fattori: l'accelerazione del commercio mondiale, l'attuazione di politiche economiche adeguate, l'evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, la disponibilità di credito.

Nell'immediato le condizioni sono gravi: "lavoro che viene meno e non si crea; imprese che non riescono a modernizzarsi, a finanziarsi, che chiudono, banche indebolite .. tra le quali rischiano di emergere situazioni problematiche".

Ma di fronte a questo quadro "i rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti", scrive il governatore.

PER ITALIA NON PRATICABILI SCORCIATOIE CON LEVA BILANCIO

Due giorni dopo l'uscita dell'Italia dalla procedura europea di deficit eccessivo Bankitalia concentra parte delle Considerazioni finali sulla necessità di evitare scorciatoie che passino da un maggior deficit di bilancio.

Visco invita il governo "a non dissipare" il risultato ottenuto a Bruxelles ma a considerarlo "un investimento su cui costruire".

Quindi, va ricordato in primo luogo che, dopo la decisione di pagare parte dei debiti della PA "per quest'anno non vi sono margini di aumento del disavanzo" dal momento che "il margine di fiducia che risparmiatori e operatori di mercato attualmente ci concedono è stretto". E l'Italia, nel corso del solo 2013, ha la necessità di emettere titoli di Stato per 450 miliardi.

Sulle imposte, mentre il dibattito politico è concentrato sull'Imu da ridurre o abolire e sull'Iva di cui cancellare il programmato rialzo, Visco sposta il timing della minor pressione fiscale, anche se pianificabile fin da ora, al medio termine e ribadisce, in linea con la Commissione europea, che si dovranno privilegiare lavoro e produzione. "Il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l'occupazione e l'attività d'impresa".

In tema di entrate Via Nazionale chiede di combattere, anche nella sua dimensione sovranazionale, l'evasione fiscale, fonte di concorrenza sleale e di aumento del carico tributario per i contribuenti in regola.

Al governo poi Bankitalia chiede di dare certezza sulle misure fiscali perchè questo incide positivamente sulle aspettative con un effetto maggiore di sgravi immediati ma di incerta sostenibilità.

IMPRESE: TROPPO POCHE STANNO ACCETTANDO SFIDA CAMBIAMENTO

Al mondo imprenditoriale Ignazio Visco chiede un contributo maggiore di quello fornito sinora al cambiamento che l'Italia deve necessariamente perseguire.

"Le imprese sono chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull'innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici". Ma, a differenza del passato, solo alcune lo stanno facendo. "Troppo poche hanno accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico" lamenta la banca centrale.

Reuters|RV