Sunday, August 4, 2013

IGNOBILE RAZZISMO | La Torino bene discrimina gli italiani di pelle scura 4Agosto2013

Il sonno della ragione genera mostri. Questa è la chiave di lettura ai crescenti fatti di razzismo in Italia, estate 2013. Aumentano i reati, ma non gli indagati. Se gli atti  di razzismo sono tuttora perseguibili per legge, come mai non scattano nemmeno le indagini? Ho una possibile risposta: la moltiplicazione di questi reati è proporzionale alla crescita del razzismo istituzionale. Da Calderoli in poi, tutto è diventato normale.
Contro la Ministra Cecile Kyenge, non trovo parole per descrivere l’ignobilità di certi atti razzisti messi in atto dalla Lega Nord. Ormai non hanno in senso del ridicolo, e così facendo si sdoganano i comportamenti più animalesche che ogni società umana porta in sé.
Dimostratemi il contrario. Fatemi capire dove sbaglio. Scrivetemi circa lo sbaglio interpretativo. Tutto sarebbe diverso se a partire della classe politica il razzismo fosse condannato, perseguito per legge. Sarebbe diverso se in primis i politici dessero l’esempio, si impegnassero di più nella costruzione di una società multietnica, più aperta, più democratica.
Vi riporto l’ultimo atto della crescente “Onda razzista” in Italia. Nessuna regione d’Italia si salva. Gli atti di razzismo si stanno incrementando dal Nord al Sud, tutto in silenzio. Questa volta è successo nella Torino bene.

Via FPB| #kambasFPB

Il silenzio della ragione, Pacavira

L'ultimo schiaffo a Francesca, torinese con la pelle scura. E' accaduto in un negozio di calzature di un grande centro commerciale. Ma non è un episodio isolato:è accaduto anche quando cercava casa

di OTTAVIA GIUSTETTI | La Repubblica

"Qui non c'è nulla per te, non importa se hai denaro per comprare ciò che io ti posso vendere. Non importa che il mio interesse sia vendere. Per il fatto che hai la pelle scura io non voglio avere nulla a che fare con te". Lei è Francesca, una donna di 33 anni, di origini indiane, adottata all'età di quattro da una famiglia italiana. Vive a Torino da 29 anni. Lavora in uno studio legale, ha abitudini, amici, look italianissimi. Eppure il senso della risposta che si è sentita dare in un negozio di un grande centro commerciale pochi giorni fa quando è entrata per scegliere un paio di scarpe è proprio questo. Un gesto scontato prima di partire per un viaggio: scegliere qualche indumento adatto alla gita. Per Francesca non è lo stesso. Non è sufficiente che parli perfettamente la lingua, non basta che abbia un viso grazioso e occhi scintillanti e puliti. Il colore della sua pelle, in qualche luogo, la rende ancora "diversa". LEI non se ne stupisce e dice "è una cosa con cui faccio i conti da sempre, tante volte ho esitato prima di entrare in un negozio e ho preferito aspettare di tornarci con mia madre, è un fatto evidente che quando sono sola il trattamento che ricevo è diverso". Il "sentimento razzista", quello che negli anni Sessanta a Torino teneva fuori dalle case e dai luoghi di lavoro gli immigrati dal Sud, è vivo più che mai.

Potrebbe quella donna del negozio di scarpe aver risposto che non aveva nulla da venderle per qualche altra ragione se non per il fatto che il colore della sua pelle è diverso? "Ho anche provato a immaginare una ragione alternativa  -  dice Francesca  -  ma certi toni e certi sguardi sono inconfondibili, è anche umiliante doverlo ammettere, ma non c'è equivoco possibile, sono sicura". Insieme con lei era nel negozio la sorella. "Passeggiavamo per i centro commerciale e ho visto in vetrina quelle scarpe un po' tecniche che potevano servirmi per le escursioni più impegnative, ho visto che c'era anche il mio numero tra quelli disponibili e così siamo entrate. Una signora di mezza età mi è venuta incontro e mi ha chiesto cosa desideravo, io ho risposto che cercavo un paio di scarpe e lei mi ha chiesto per chi fossero. 'Per me', ho detto. Allora lei ha risposto 'mi dispiace non abbiamo niente'. Non mi ha chiesto modello o numero, mi ha liquidata così, e ha aspettato che uscissi". Nella domanda: "per chi sono?" c'è il senso dell'intera faccenda.

Francesca non l'avrebbe mai raccontato se non fosse stato per un'amica che ha provato enorme vergogna nel sentire il resoconto di una simile follia. Francesca che è uscita senza dire una parola avrebbe messo l'episodio nel cassetto delle umiliazioni sopportate con rassegnazione, una delle tante. "Sì, ho pensato che avrei ripiegato su un grande magazzino di attrezzature sportive, almeno lì ti cerchi da sola ciò che ti serve, modello e numero di scarpe, e alla cassa ci vai solo per pagare". Una soluzione accettabile, se non fosse per la ragione che la impone. Se non fosse per il pensiero che è costretta a fare una ragazza indiana che subisce la violenza di essere tenuta "ai margini" perché il suo aspetto esteriore evoca origini lontane. Che ha denaro per comprare un oggetto che desidera ma per qualche motivo le viene negato il diritto di spenderlo.

Le scuole torinesi sono felicemente multietniche da anni, i bambini e i ragazzi vivono con estrema naturalezza il fatto di avere compagni africani o cinesi, o indiani. E' una delle ricchezze della città. Come è possibile, allora, che una testimonianza come quella di Francesca riporti l'immagine di una realtà così diversa? "In effetti se devo pensare a un periodo della vita in cui ho avvertito meno la sensazione della discriminazione sono stati proprio gli anni della scuola  -  racconta lei  -  i miei genitori adottivi mi hanno iscritta in una privata pensando che l'ambiente fosse più protetto e che corressi meno il rischio di incontrare umiliazioni. La città non era ancora meta di grande immigrazione dai Paesi extracomunitari, perciò temevano che mi potessi trovare in situazioni difficili. Invece è stato un periodo molto sereno. E devo ammettere che anche nella ricerca del lavoro mi sono sentita a tutti gli effetti una cittadina italiana: ho un contratto a tempo indeterminato in uno studio legale come segretaria e mi trovo benissimo".

Poi però si verificano fatti assurdi nelle circostanze più inaspettate. "La storia delle case non date è ancora vera, per esempio. Io ho fatto una fatica incredibile a comprare l'appartamento dove vivo. Abitavo con i miei genitori a San Salvario e mi piaceva l'idea di restarci anche perché lo consideravo uno dei quartieri più multietnici di Torino. Invece era impossibile convincere i proprietari che ero una cliente affidabile. Una volta, presente l'agente immobiliare, il padrone dopo avermi vista disse che lui non la vendeva la sua casa agli extracomunitari. Io avevo persino una lettera di referenze dagli avvocati dello studio, non ci fu nulla da fare". Alla fine anche per questo Francesca ha aggirato l'ostacolo. Con pazienza, attraverso il passaparola ha trovato una casa e un proprietario senza pregiudizi. Ma è come per le scarpe, in fondo. Esiste una ragione valida per cui la conquista di un diritto indiscutibile debba passare attraverso mille porte chiuse in faccia? "No, non esiste - dice Francesca e quella che risponde è una persona che si considera privilegiata rispetto alla maggior parte degli stranieri che arrivano qui per guadagnarsi da vivere -. Non so immaginare quali fatiche e umiliazioni siano quotidianamente costretti a subire".

(04 agosto 2013)

Thursday, July 4, 2013

Se le idee sono simili a pesci

Francis Pacavira Bernardo

Le idee sono simili a pesci. Se vuoi prendere un pesce piccolo puoi restare nell’acqua bassa. Se vuoi prendere il pesce grosso, devi scendere in acque profonde. Laggiù i pesci sono più forti, più puri. Sono enormi e astratti. Davvero stupendi. Più la tua coscienza è dilatata, più scendi in profondità verso questa sorgente e più grosso è il pesce che puoi pescare.
David Lynch

Thursday, June 13, 2013

Estate 2013: Ecco tutte le sagre in programma a Roma e provincia

Kizomba Romana Eventi

Con l’estate torna anche l’attesa stagione delle sagre e delle feste all’aperto. Dagli gnocchi alla trippa romana, dalla carne di cinghiale al pesce fresco della riviera, a Roma e provincia ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. E non mancheranno neppure gli appuntamenti con le tradizionali feste della birra e le kermesse dedicate al vino, a partire da Vinoforum 2013 in programma sul Lungo Tevere Maresciallo Diaz dal 7 al 22 giugno. Di seguito proponiamo una carrellata di sagre e feste all'aperto per trascorrere qualche serata in compagnia senza spostarsi troppo dalla Capitale (il calendario verrà aggiornato man mano che gli eventi ci verranno segnalati).


Vinforum 2013: 2500 etichette e 160 eventi per la kermesse romana dedicata al vino


FESTE DELLA BIRRA
Ardea a tutta birra – dall’ 1 al 16 giugno
Brilli d’autore, festa della birra artigianale a Colonna - dal 7 al 9 giugno
Imperial Beer Party: festa della birra artigianale -  dal 13 al 16 giugno
BirròForum - dal 27 al 30 giugno

TUTTE LE SAGRE DELL'ESTATE 2013
Sagra delle fragole a Nemi – dal 25 maggio al 9 giugno
Sagra della Pizza a Lariano – Dal 6 al 16 giugno


Sagra delle sagne di farro a cineto romano – 9 giugno


Sagra degli gnocchi a coda e soreca – dal 14 al 16 giugno


Sagra del pesce e festa delle tradizioni marinare a Fiumicino – dal 14 al 16 giugno


Sagra del rigatone all’amatriciana a Torresina – 15 e 16 giugno


Sagra della lumaca di Valmontone – dal 27 al 30

VIA | http://www.romatoday.it/eventi/sagre/sagre-estate-2013-roma.html

Thursday, June 6, 2013

INVITO | AFRICA, POPOLI E CULTURE; Per i 50′anni dell’Unione Africana

AFRICA, POPOLI E CULTURE I 50′anni dell’Unione Africana

INVITO | CONVITE {Passa a palavra}

Sabato 8 giugno 2013, dalle 9:30, presso il Collegio San Pietro, la Comunità Angolana organizza una tavola rotonda, denominata AFRICA, POPOLI & CULTURE. L’evento rientra nell’ambito delle celebrazioni dei 50′anni di fondazione dell’Unione Africana.

Ecco, dunque, il programma dell’evento:

09:30 – Messa di Ringraziamento (Missa de Acção de Graças) – Celebra il Don Katchilinguitchimue Obs: Si farà una preghiera speciale per gli 11 anni di pace in Angola.

11:00 – Tavola Rotonda – Oratori: Dott. Habte (Sociologo, Eritrea); Don Costantino (Studioso dell’inculturazione, Camerun); Dott. Moisés Malunbo (Studioso delle culture tradizionali africane, Angola)
- Moderatore: Francisco Pacavira Bernardo (Giornalista)

13:30 – Rinfresco, con piatti tipici dell’Angola

15:30 – Chiusura

Pela Comunità Angolana

ORRORI DELLA LEGGE | Erri de Luca risponde a Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi

stefano_cucchi[1]

Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro.

Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.

Stefano Cucchi, dopo la tortura in carcere-small

Wednesday, June 5, 2013

Quale pensiero filosofico per il futuro dell’Africa? - di Habtè Weldemariam

Alcuni anni fa, in occasione di un incontro che si svolgeva a Frascati, promosso dall’associazione “Nessun luogo è lontano” ho avuto la fortuna di incontrare e discorrere a lungo con il compianto  professor Joseph Ki-Zerbo.
Ero reduce dalla presentazione del discusso documento NEPAD (Nuovo partenariato per l’Africa) presso il Ministero degli affari Esteri di Roma e chiesi a  Ki-Zerbo cosa ne pensasse…

Il professore elogiò la buona intenzione dei redattori del documento ma secondo lui non era stata tenuta nel debito conto la vera essenza del continente africano. «Vede», disse Ki-Zerbo, «lo sviluppo economico e sociale è sempre legato ad una cultura. Ho l’impressione che il documento risponda ad un pensiero di progresso economico di tipo Occidentale… Non si possono sprecare così tante energie per proporre un modello tipo Nepad senza prendere in considerazione la struttura sociale di un popolo nel suo insieme».
Credo di aver compreso le perplessità di Joseph Ki-Zerbo nell’ottobre scorso,  dopo aver seguito il convegno promosso dalla Pontificia Università Urbaniana e dall’Università “Roma Tre” intitolato La philosophie africane: l’antropologie. Un convegno peraltro ricco di spunti, idee e vivacità di pensiero, come spesso capita con gli intellettuali francofoni e lusofoni.
La filosofia non è il mio campo di specializzazione ma, occupandomi di studi e ricerche di antropologia culturale e di narrativa africana, mi sono sempre imbattuto in questioni legate alla cosmologia, alla mitologia, alla saggezza della vita o all’immortalità nelle religioni tradizionali africane; così, tornando a casa dopo il bel convegno dedicato alla filosofia africana non ho potuto fare a meno di porre a me stesso una serie di quesiti: esiste una filosofia africana? Il fatto che la tradizione orale abbia carattere testuale e storico è sufficiente perché si possa parlare di una filosofia? Qual è il ruolo del “pensiero universale” della tradizione africana?  E lo sviluppo del pensiero filosofico africano oggi?

Ridefinire la storia del pensiero africano per reclamarne un riconoscimento

Una giornata di relazioni e di dibattiti per un argomento così vasto certamente non basta per giungere a delle conclusioni, ma il convegno ha comunque rivelato che siamo in una fase di confronto. Non è chiaro se vi è una specifica “filosofia africana” o se nella visione del mondo dell’uomo africano esistono principi costanti e ricorrenti, comuni ed irriducibili, che fanno sì che egli sia guidato nella sua soggettività. Insomma, possiamo parlare di un’alba della “filosofia africana”?
L’immagine “storta” dell’Africa e la sua marginalizzazione nella storia ha le sue radici nella concezione etnocentrica ed evoluzionistica europea; basti pensare alle testimonianze di Erodoto, Plinio il Vecchio, Diodoro Siculo, alla teoria del Buon Selvaggio di Jean Jacques Rousseau e alla concezione hegeliana della storia. Secondo tale concezione l’Africa era una terra abitata da popolazioni primitive, astoriche e prive di razionalità; un pregiudizio che ha fortemente viziato l’immagine del Continente fino ad “inventare” un’altra Africa, che doveva essere salvata dalla sua condizione di barbarie dal progetto coloniale.
Ecco perché, mentre la “castrazione coloniale” non è ancora finita, diversi pensatori africani vedono nella riflessione filosofica una via verso la rinascita africana e per ricrearne l’identità, liberandola il più possibile dagli orpelli di un pensiero altro, che l’ha violentata e resa schiava.
Inizialmente tale pensiero è nato come forma di reazione e resistenza rivolto nel contempo all’Africa e all’Occidente; un tentativo di proporre a sé e agli altri un’immagine positiva in cui potersi riconoscere ed essere riconosciuti. Oggi vuole impegnarsi anche in un confronto in campo internazionale per ridefinire la storia, la cultura, l’esistenza degli africani e reclamare il riconoscimento della propria umanità. Così è iniziata la riscoperta del pensiero filosofico nel Continente, a cominciare almeno dall’Egitto antico di cinquemila anni fa per poi arrivare, via via, fino allo sviluppo filosofico dell’Africa settentrionale con Sant’Agostino, e ai filosofi razionalisti etiopici del ‘500-600, come Weldehiwet e Zera-yaqob.
Su Zera-yaqob è necessario spendere qualche riga, in quanto i suoi scritti stanno suscitando un grande interesse a livello mondiale, ma soprattutto tra gli intellettuali africani. Tra il 1500 e il 1600 in Etiopia vi fu una grande fioritura di pensatori, ma anche incredibili persecuzioni con roghi di pergamene con i quali la Chiesa copta attuò una forte censura contro varie correnti di pensiero filosofico. Tutto ciò che non risultava essere coerente con la teologia e il mito della monarchia salomonide etiopica doveva essere eliminato, con un atteggiamento che oggi potremmo definire anticulturale. In questo contesto la figura di Zera-yaqob è emblematica, essendo uno dei grandi pensatori perseguitati, che viveva esiliato nelle caverne dell’Ambe nell’acrocoro abissino. Dopo 500 anni, finalmente, sono stati scoperti i suoi manoscritti; un tesoro di testi, soprattutto di filosofia, enorme, che richiederà parecchi anni per la sola traduzione, in quanto si tratta dei discorsi scritti in lingua ge’ez , spesso in forma di Qene, con doppiezze semantiche e metafore con cui opporsi ai Neghestat e ai teologi copti, i quali facevano ampio uso di parole e concetti “a doppio taglio”.

La filosofia del riscatto

L’ambito in cui la filosofia africana ha tentato - e tenta - di svilupparsi come scienza moderna è quella incerta zona di confine che separa e congiunge spazi socioculturali, politici, mentali, disciplinari come il dominio coloniale e lotte di liberazione, diaspora, saperi locali e linguaggi disciplinari occidentali. Si tratta di uno spazio ambiguo, lacerato e mal definito che ha reso urgente la domanda sulla identità, personale e collettiva, e che appunto cerca nella filosofia una possibile chiave di risposta, oscillando tra la rivendicazione di una propria irriducibile diversità e l’affermazione della rilevanza universale del proprio pensiero e della propria cultura.
La filosofia africana in senso stretto, intesa cioè come produzione di testi filosofici che si inserisce in un ambito disciplinare istituzionalmente definito, nasce come risposta ai discorsi discriminatori che l’Occidente ha sviluppato sull’Africa, negando agli africani una pari dignità culturale e capacità di pensiero razionale. A partire dagli anni ’20 del XX secolo gli intellettuali africani, spinti da un forte desiderio di libertà, hanno dato nuovi impulsi a dibattiti politici, culturali, sociali e filosofici riguardanti la loro situazione storica, sviluppando in seno alla “filosofia africana”, diverse correnti di pensiero: il Panafricanismo (W. E. B. Dubois), il Conscientismo (Kwame Nkrumah), la Corrente Nazional-Ideologica in cui troviamo la Negritude (Sedar Senghor, Aimè Cesaire); il Socialismo africano (Jomo Kenyatta, Julius Nyerere); la Sage Philosophy, secondo la quale la filosofia in Africa è molto antica e nasce dagli insegnamenti dei saggi, degli anziani; la Filosofia Professionale, che spinge il dibattito in campo internazionale presso alcune università occidentali dove lavorano molti filosofi del Continente nero, detti per questo intellettuali della diaspora; la Corrente Etnofilosofica; la Corrente Critica che nasce in opposizione a quella Etnofilosofica e che attribuisce alla filosofia un ruolo di primo piano nella ricerca dell’identità africana; e infine, la Corrente Ermeneutica. L’approccio di quest’ultima, nel tentativo di oltrepassarne la contrapposizione, tra i due estremi dell’atavismo essenzialista - la etnofilosofia e la critica - e dell’universalismo occidentalizzante, tenta di rielaborare l’esperienza africana alla luce del passato, del presente e del futuro.

Il futuro della filosofia in Africa

Ora le tante considerazioni errate sul “pensiero filosofico africano” sono in via di smascheramento costringendo, soprattutto il mondo occidentale, a rivedere i suoi giudizi e pregiudizi. Molti intellettuali africani, senza fermarsi a banali battibecchi, continuano a percorrere strade nuove per ritrovare la loro identità sostenendo l’idea che la filosofia è un processo essenzialmente aperto, una ricerca inquieta e incompiuta. In questo processo di mutazione decisivo del pensiero filosofico africano c’è un grosso dilemma da superare: la coesistenza tra le norme che regolano il pensiero accademico e il dialogo pacifico del modo tipicamente africano di pensare. Anche perché, parafrasando il pensiero del professor Ki-Zerbo riguardo il documento Nepad, anche una filosofia è sempre legata ad una determinata cultura e si è sviluppata seguendo la cultura che l’ha generata nella sua evoluzione. Dobbiamo inoltre ricordare che «l'Africa di ieri è ancora un dato contemporaneo!».
Mi rendo conto che, in un mondo globalizzato, esprimere l’ “Africa di ieri” come potenza visionaria su se stessa e sul proprio destino è alquanto difficile. Eppure, non solo nel campo del pensiero ma anche all'interno di un linguaggio, la tradizione orale africana conserva tuttora un'importanza sacrale. Ancora sopravvivono le corti dei capi africani tradizionali, dove si ripetono gli stessi riti di cento o di cinquecento anni or sono; la tradizione, la mitologia, le cosmologie vengono ancora assunte come filosofie comunitarie, indipendenti, complementari o alternative rispetto alla filosofia occidentale. La sapienza accumulata nella tradizione orale costituita da miti, proverbi e racconti, riti, nomi, proibizioni e da tutte le manifestazioni della parola e del pensiero sono ciò che si può chiamare pensiero filosofico della tradizione orale africana. Il termine “filosofia” diventa dunque un sinonimo di concezione collettiva del mondo e della vita, una sorta di antropologia spontanea sedimentata nelle categorie della lingua, nelle rappresentazioni sociali e nei costumi. Qui non emerge il nome di qualche particolare personalità, ma il soggetto è la tradizione, la comunità, il popolo.
Tale “spirito” o “stile”, per convenzione tale “filosofia”, mentre in Occidente avrebbe il proprio carattere distintivo in un atteggiamento analitico che conduce alla dominazione della natura e all’atomismo sociale, in Africa troverebbe la propria peculiarità in una visione sintetica del mondo e del sapere che favorirebbe la coesistenza con la natura e la convivenza comunitaria fra gli uomini.
E' giunto il momento di elaborare, comunque, un pensiero africano, teorizzando i valori e la saggezza in esso presenti, dando così un contributo efficace per diffondere nel mondo la ricchezza della spiritualità africana. Si tratta di un richiamo, di una sollecitudine provenienti da ogni angolo della terra dove l’africano è presente  che intende indurre gli intellettuali africani a riflettere sulla propria identità, sul proprio passato e sul presente, a  porre le basi per una salda conoscenza della propria cultura e questo può rivelarsi molto fruttuoso anche nelle scuole africane di filosofia.
Roma, novembre 2006

Monday, June 3, 2013

RAZZISMO ITALICO 2013 | Parlamento europeo, il gruppo degli euroscettici di Nigel Farage espelle Borghezio

Lega-Nord-Mario-Borghezio-condivide-opinione-Breivik[1]

Milano - Il gruppo parlamentare degli euroscettici Efd ha ufficializzato l'espulsione «da oggi» di Mario Borghezio. Fonti del gruppo hanno reso noto che «una maggioranza superiore ai due terzi» si è espresso favorevolmente alla proposta fatta venerdì scorso dal co-presidente Nigel Farage. A quanto si apprende, la decisione è già stata comunicata al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, con una lettera di Farage in cui si informa che «da oggi» il leghista non fa più parte del gruppo Efd. Nella lettera non vengono indicati motivi specifici.

L'eurodeputato leghista Fiorello Provera, vicepresidente della Commissione Affari Esteri, ha intanto «preso le distanze» proprio da Borghezio per le dichiarazioni a sfondo razzista fatte in una intervista pubblicata sul numero in edicola di Panorama. «Non mi risulta che queste posizioni coincidano con quelle della Lega Nord - ha scritto Provera in una nota - Sicuramente non coincidono con le mie. Credo che queste generalizzazioni o categorie etniche diluiscano il principio di responsabilità del singolo individuo. Principio in cui credo fermamente».

Sul caso Borghezio si è espresso anche Matteo Salvini, eurodeputato leghista e segretario della Lega lombarda, intervistato a La Zanzara su Radio 24. «Non cacceremo Borghezio dalla Lega, non c'è questa possibilità. Lui resta nella Lega, almeno dal mio punto di vista». Certe cose - dice Salvini - potrebbe risparmiarsele, «gli inglesi si sono rotti le balle. Io personalmente l'ho difeso fino alla morte, ma ha detto alcune cose fuori luogo. Si può fare battaglia sull'immigrazione senza parlare di Ku Klux Klan o di meticciato».

Su Panorama Borghezio ha attaccato tra l'altro il ministro dell'immigrazione. «Cécile Kyenge - ha detto - si è comportata in maniera incivile non stringendo la mano al capogruppo della Lega alla Regione Lombardia. Se l'avesse fatto un altro avrebbero detto che è uno stronzo. Invece non è successo nulla». Rispondendo alle domande di Giuseppe Cruciani, Borghezio ha poi aggiunto: «I meticci sono un obbrobrio perché inquinano la differenza tra le etnie, gli antirazzisti italiani sono ignoranti e raccontano idiozie». Citato, infine, Joseph Arthur de Goubineau, diplomatico francese che a metà Ottocento pubblicò un saggio sull'ineguglianza delle razze umane.

Via|Agenzie